Ho molti amici in Sardegna; tanti fotografi, professionisti e fotoamatori, che in questi anni mi hanno trattato come un fratello, facendomi sentire a casa nella loro casa. E' a loro che parlo e lancio un appello. In momenti così tragici ci sono delle urgenze che passano davanti a tutto, evidentemente. Prima conta salvare il salvabile e tamponare laddove si può, recuperare, sostenere. Ma appena potrete usare la fotocamera fatelo: con discrezione, sensibilità e senza omettere interventi più urgenti, naturalmente, ma documentate quello che succede, fotografate le persone, gli avvenimenti, la lotta contro la tragedia, l'impegno per riprendersi e ripartire. Non fate soltanto fotografie nelle quali "si vede". Fotografate cercando di realizzare immagini belle, forti, soprattutto che raccontino. Belle perché la tragedia si sconfigge anche con la bellezza. Belle nella capacità di indagare e cogliere i sentimenti, le sofferenze, i tormenti, le speranze. Non sentitevi cinici perché non c'è insensibilità nel documentare e raccontare onestamente. Anzi: farlo è un dovere e un compito importante. In questo momento girano soltanto fotografie e filmati realizzati con lo smartphone e va bene così; nella bagarre di queste ore la fotografia deve essere soprattutto immediata, anche a discapito della qualità e in questo senso le nuove tecnologie sono uno strumento fantastico di documentazione. Conta mostrare velocemente quello che succede perché tutti sappiano e possano condividere. Ma mai come in questi casi, appena possibile, dobbiamo sentire come un compito alto quello di mettere le nostre capacità e esperienze al servizio della memoria, del racconto. Le grandi immagini hanno sempre documentato gli avvenimenti storici, tragici o felici che fossero, e sono rimaste nella memoria, a monito e richiamo per il futuro. Qualcuno si è sentito, in quel momento, testimone di un avvenimento che bisognava assolutamente fermare in un'immagine per non essere dimenticato. Questo è un compito nobile, utile, della fotografia, che sempre più frequentemente dimentichiamo; ci stiamo abituando a pensare a questo strumento come a un mezzo che serve soltanto a mostrare quello che succede al momento, per essere poi velocemente dimenticato. Invece la buona fotografia, la bella fotografia, la grande fotografia, è quella che indaga, esplora, interpreta, raccontando al mondo e alla storia perché la storia, il mondo, non dimentichi. Sono cinico nel preoccuparmi della fotografia mentre tanti stanno lottando contro il fango e le proprie perdite? Io credo di no perché ritengo che la fotografia ci ha raccontato l'ultimo secolo come nessun altro mezzo è stato capace di fare nel passato; attraverso le immagini del '900 manteniamo la memoria di avvenimenti la cui realtà sarebbe altrimenti manipolabile e facilmente edulcorabile. Insomma: penso che abbiamo una grande arma a disposizione e dobbiamo assolutamente usarla. Ajooo!
mercoledì 20 novembre 2013
sabato 16 novembre 2013
CANON LIVE EXPERIENCE 2013
Domenica 17 Novembre 2013 sarò presente all'evento CANON LIVE EXPERIENCE 2013 con due live shooting.
Fotograferò su questi due set aperti al pubblico, uno dalle 13,30 alle 15,00 e l'altro dalle 18,00 alle 19,30. Sarò là intorno anche durante gli altri giorni, se qualcuno volesse fare 2 chiacchiere informali, ma per questo non posso dare orari.
CANON LIVE EXPERIENCE 2013
17 Novembre 2013
Sala di posa IED - Via Bezzecca, 5 - Milano
Live set Davide Cerati, h. 13,30-15,00
Live set Davide Cerati, h. 18,00-19,30
venerdì 4 ottobre 2013
AIFON
Io con l'aifon mi sto divertendo un sacco.
Dice: "ma sarà mica arte questa qui?"
No, no: io proprio mi sto divertendo.
mercoledì 10 luglio 2013
SPAZZATURA VISIVA
La settimana scorsa ho girato in lungo e in largo Milano, alla ricerca di graffiti che facciano da background a un mio servizio fotografico con una musicista. Durante la ricerca mi risuonavano nelle orecchie certi titoli di giornale, tante frasi di sdegnata lamentela verso questa forma d’espressione troppo volutamente per tutti e fuori dal mercato per conquistare fino in fondo il mondo dell’arte. Non sono un’esperto e quindi le mie considerazioni sono quelle di un selvaggio che esplora la città con gli occhi e le sensazioni.
Ci sono cose bellissime ( i muri fuori dal Leoncavallo, per esempio, sono magnifici ) come, certo, tante porcherie. Così come c’è buona oppure squallida fotografia, ottima musica e pessima musica, bellissima pubblicità e comunicazione-spazzatura.
Non bisogna confondere, tra l’altro, i graffiti con i tags. I graffiti sono spesso opere di altissima qualità, mentre i tags sono firme, scritte, scarabocchi, il più delle volte merda che incrosta senza logica ne gusto la città e i monumenti. So che ci sono discussioni e differenti punti di vista all’interno di questo mondo di persone che usa i muri come superficie per esprimersi o per imbrattare. Immagino che, anche parlando di tags, bisognerebbe saper fare le dovute distinzioni, tra la spazzatura e il senso. Non voglio nemmeno entrare in questa discussione perché non ho la conoscenza ne la competenza per dire cose che abbiano un valore.
Ma, certo, tolti appunto i tags a sproposito che non amo, e senza genericamente apprezzare qualsiasi graffito per partito preso, ho visto opere d’arte meravigliose che verrebbe voglia di portarsi a casa, se non fosse che invece hanno valore proprio perché sono lì per tutti, sui muri di una città che altrimenti, senza, sarebbe più povera.
Quello che invece mi ha disturbato, in questa esplorazione della città, sono le insegne dei negozi: sempre più pacchiane, orribili, invadenti; vera spazzatura visiva. Da quando è arrivata la stampa digitale sui più svariati materiali, i centri stampa, i "creativi", tutti si sentono grafici e comunicatori, ognuno si sente in diritto di sputare quel che crede, di fare il “diverso”, producendo montagne di monnezza che stanno inquinando le città: insegne dai colori inverosimili, grafiche allucinanti, spesso con disegni di cattivo gusto, o tremende fotografie che non hanno funzione alcuna se non quella di alzare la voce e urlare la propria inconsistenza. E vogliamo parlare dell’assurda moda di coprire completamente le vetrine con fotografie e grafiche adesive, il più delle volte anche queste di qualità infima?
Anche i bordi delle strade fuori città sono sempre più sommerse di cartellonistica tremenda. Si tagliano gli alberi, non esiste più una strada alberata perché la manutenzione costa, mentre la cartellonistica è fonte di business e quindi sempre più invadente, fino a coprire il paesaggio.
Non sono un nostalgico ( o meglio, non lo sono più ) perché ho smesso di considerare buono tutto ciò che è passato, soltanto per fare poesia da quattro soldi. Ma in questo caso specifico rimpiango le sobrie insegne dei negozi di una volta, non perché “di una volta”, ma piuttosto per il rispetto che avevano dell’arredo urbano, degli occhi e della mente; per la loro semplice funzione di richiamo al contenuto e non, come sempre più spesso accade, di caciara per coprire un vuoto di qualità e di sostanza.
Non sto scrivendo nulla di nuovo, e ci sono persone più autorevoli di me nel difendere l'arte murale. Ma ci stanno riempiendo di merda gli occhi e trovo imbarazzante che qualcuno ancora si lamenti dei graffiti. Il vero inquinamento visivo è in questo uso spropositato di urla sguaiate sopra le vetrine e lungo le strade, non certo nei graffiti.
domenica 5 maggio 2013
IO, MARTINO, LA LUCE
Tanti anni fa, appena diplomato in Comunicazione Visiva, sognando un futuro nel cinema, incidentalmente entrai nel mondo del lavoro facendo le luci ai concerti. Non era il mestiere che sognavo, ma mi interessava ogni cosa riguardasse la luce, la Comunicazione, lo spettacolo. Poi cominciai a fare il fotografo, ci presi gusto e eccomi qui. Un'esperienza piccola e breve quella dei concerti, un altro mondo rispetto a quello di oggi. Ricordo, come fosse oggi, una settimana di serate al Ciak di Milano: salivo su una scala a pertica di legno, orientavo i fresnel manualmente, ci mettevo davanti le gelatine colorate con le mollette di legno; durante il concerto regolavo le luci con un mixer preistorico che aveva pochi cursori per i singoli fari, un master, dei bottoni per flashare. Tutta la mia effettistica era muovere le dita su questi pulsanti come suonassi sulla tastiera, cercando di seguire il ritmo e le atmosfere della musica. Ogni tanto qualche lampada esplodeva, creando paura e spettacolarità impreviste.
Altre volte ( ricordo un piccolo festival dell'Unità di provincia ) partiva un frigorifero di troppo nell'adiacente chiosco per le salamelle e tutto saltava lasciando al buio la scena. Una sera, in un piccolo teatrino, qualche pirla scambiò la macchina per il fumo a ghiaccio secco con quella a olio ( allora irrespirabile ) saturando troppo il teatro di fumo e costringendo il pubblico all'evacuazione… insomma: veramente un mondo strepennato e esilarante, a ricordarlo ora, ma comunque molto divertente anche allora.
Racconto questi flashback del passato perché oggi mio figlio Martino lavora, lui in modo professionalmente serio, ma immagino altrettanto divertendosi, come light designer; fa cioè la luce dei concerti, progettandone il disegno, la struttura, l'effettistica e realizzandole sul palco durante lo spettacolo. Ora è in tour con i Ministri, sempre in giro per l'Italia. Quando mi parla degli strumenti che usa, lo confesso, non ci capisco una fava, e mi sento pure io preistorico, come il vecchio mixer del Ciak. Tutto è elettronico, computerizzato, multimediale, programmabile. Fantastico, complesso, grandioso. Io non saprei davvero da che parte iniziare, lui sembra sguazzarci con grande libertà e competenza.
Ci sono considerazioni personali: il piacere di vedere che il mondo continua e si evolve; che i figli prendono strade proprie, magari parallele alle tue ( sempre di luce e Comunicazione ci occupiamo, io e lui, e di musica come la mamma ), ma se le costruiscono a modo loro, facendo cose bellissime che tu non sapresti nemmeno immaginare possibili.
Martino
Ma ci sono anche ragionamenti più generali che riguardano il mio, il nostro, lavoro: la Comunicazione, la fotografia, la luce, lo spettacolo. I mezzi cambiano, diventano sempre più tecnologicamente complessi e avanzati, permettendo realizzazioni una volta inimmaginabili. Ma l'oggetto e il fine del creare, in questi campi, era e resta uno solo: la Comunicazione. Non lavoriamo per realizzare sensazioni "belle" fini a se stesse. Se una bella luce non comunica nella direzione che vorremmo, è soltanto un traguardo estetico che si esaurisce lì; è arredamento luminoso inutile o addirittura deviante. La luce, oggi come trent'anni fa, come 100 anni fa, comunica calore o freddo, esuberanza o apatia, ansia o serenità. Miscelare consapevolmente questi sapori in un'immagine, o su un palco, in modo pertinente rispetto al soggetto ( o alla musica ), è il nostro compito. Si sa, i figli sò piezz 'e core, ma Martino credo che questo compito lo svolga molto bene.
E in questo senso sono cambiati soltanto i mezzi, non la sostanza della Comunicazione. Martino ora usa strumenti che per me sono fantascienza, e io uso come tutti un digitale che sembra aver stravolto la vita a molti. Ma in realtà abbiamo soltanto messo un sensore al posto della pellicola; questo ci ha portato enormi vantaggi, soprattutto in termini di controllo del risultato finale; io almeno la vedo così. Però l'oggetto vero del nostro lavoro è rimasto identico a quello del mondo analogico: raccontare storie, emozioni, concetti, sensazioni attraverso un rettangolo, una finestra, che delimita e seleziona porzioni di realtà trasformandosi in una nuova realtà essa stessa. L'identico processo che avviene nel rettangolo di un palco. La nostra testa si deve occupare di questo e gli strumenti sono soltanto il mezzo per raggiungere obiettivi più alti. Su questo piano si gioca la differenza tra uno che fa le foto e un buon fotografo, oppure tra uno che fa le luci e un ottimo datore luci
( o light designer che fa più figo ).
venerdì 26 aprile 2013
NO GALLERY
C'è una galleria d'arte molto privata.
Così privata e piccolina che in fondo è una "No Gallery". Ma assolutamente esclusiva. Essa consiste di: un filo d'acciaio e 10 mollette di legno. Il cavo è tirato tra le pareti dell'ingresso, nel mio studio, e gli unici visitatori, non sempre interessati, sono: io, le mie assistenti, chi viene per un motivo o per l'altro a lavorare da me, il postino, i corrieri che consegnano i pacchi, quelli che portano la pizza, l'idraulico che viene a farsi offrire il caffè sperando che ci sia qualche modella discinta in studio, il prete che viene a benedire a Natale, vari e eventuali.
Bene. Su questo cavo si espongono alla vista serie di 5 fotografie formato A3, amorevolmente stampate su bellissime carte fine art, firmate e numerate: 1/1. E basta. Pezzi unici. Cambiano regolarmente, come micro mostre senza inaugurazione ne catalogo e, alla chiusura, finiscono in una scatola di cartone con il loro bel nome sopra, e questa nel mio magazzino del fine art.
Ora ho deciso, per non farle invecchiare dentro una scatola e per uno spirito POP, nel senso di popolare, di metterle in vendita così che abbiano una loro vita oltre la No Gallery; e di venderle a un prezzo, appunto, popolare, 99 euro la serie + spese di spedizione; praticamente il costo della sola stampa per 5 fotografie fine art firmate e numerate 1/1. Pezzi unici e quindi popolar-esclusivi.
La parete opposta dell'ingresso è più pretenziosa: ci girano mie foto stampate in grande formato, montate su pannelli, 60x60, 60x90, 60x120, 100x150, 80x200, utilizzate a volte per l'allestimento di set e quindi non sempre immacolate: un angolo pestato, un graffietto in superficie. Insomma, vissute. Anche queste, dopo aver svolto il loro dovere lavorativo, sono stanche di restare chiuse in magazzino e vorrebbero essere esposte magari in un bel soggiorno o nell'ingresso di qualcun altro. In questo caso ogni pannello ha una sua storia, un suo prezzo, sue condizioni, da valutare di volta in volta. Ma anche queste sono POP, nella vita vissuta e nel prezzo.
Per acquistare le serie di NO GALLERY: http://www.cerati.biz/no-gallery
Così privata e piccolina che in fondo è una "No Gallery". Ma assolutamente esclusiva. Essa consiste di: un filo d'acciaio e 10 mollette di legno. Il cavo è tirato tra le pareti dell'ingresso, nel mio studio, e gli unici visitatori, non sempre interessati, sono: io, le mie assistenti, chi viene per un motivo o per l'altro a lavorare da me, il postino, i corrieri che consegnano i pacchi, quelli che portano la pizza, l'idraulico che viene a farsi offrire il caffè sperando che ci sia qualche modella discinta in studio, il prete che viene a benedire a Natale, vari e eventuali.
Bene. Su questo cavo si espongono alla vista serie di 5 fotografie formato A3, amorevolmente stampate su bellissime carte fine art, firmate e numerate: 1/1. E basta. Pezzi unici. Cambiano regolarmente, come micro mostre senza inaugurazione ne catalogo e, alla chiusura, finiscono in una scatola di cartone con il loro bel nome sopra, e questa nel mio magazzino del fine art.
Ora ho deciso, per non farle invecchiare dentro una scatola e per uno spirito POP, nel senso di popolare, di metterle in vendita così che abbiano una loro vita oltre la No Gallery; e di venderle a un prezzo, appunto, popolare, 99 euro la serie + spese di spedizione; praticamente il costo della sola stampa per 5 fotografie fine art firmate e numerate 1/1. Pezzi unici e quindi popolar-esclusivi.
La parete opposta dell'ingresso è più pretenziosa: ci girano mie foto stampate in grande formato, montate su pannelli, 60x60, 60x90, 60x120, 100x150, 80x200, utilizzate a volte per l'allestimento di set e quindi non sempre immacolate: un angolo pestato, un graffietto in superficie. Insomma, vissute. Anche queste, dopo aver svolto il loro dovere lavorativo, sono stanche di restare chiuse in magazzino e vorrebbero essere esposte magari in un bel soggiorno o nell'ingresso di qualcun altro. In questo caso ogni pannello ha una sua storia, un suo prezzo, sue condizioni, da valutare di volta in volta. Ma anche queste sono POP, nella vita vissuta e nel prezzo.
Per acquistare le serie di NO GALLERY: http://www.cerati.biz/no-gallery
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