giovedì 28 giugno 2012

PORRETTA CITTA' DELLA FOTOGRAFIA


Domenica, 1 luglio, parte Porretta Città della Fotografia. 

Cos'è?

In 15 fotografi italiani, nei mesi scorsi, siamo stati invitati a ritrarre la gente di Porretta Terme, in provincia di Bologna. 

Ognuno di noi si è dedicato a un ambito specifico: io ho fotografato le persone che lavorano nel Municipio; Paolo Castiglioni i vigili del Fuoco, Roberto Rocchi i lavoratori delle Terme, Pino Ninfa quelli del Bottonificio Lenzi, e così altri in differenti luoghi di Porretta. 

Gianni Berengo Gardin, certamente il più grande tra noi tutti, si è dedicato ai lavoratori della Oerlykon ( ex Demm ). Toni Thorimbert fotograferà nei prossimi giorni, e anche le sue foto si aggiungeranno alle nostre. Porretta Città della Fotografia è infatti work in progress e si protrarrà fino a fine settembre, culminando con la stampa di un libro che raccoglierà tutte le immagini.

Così quella di domenica prossima, più che un'inaugurazione in pompa magna, sarà l'apertura di un percorso che vedrà nella presentazione del libro, a settembre, l'evento più eclatante. Nel frattempo, per tutta l'estate, le opere saranno esposte al pubblico in giro per Porretta, in varie locations.

Dietro a tutto ciò i motori sono quelli del mitico Mosè Franchi ( che io chiamo "il tessitore" della fotografia ) e Luciano Marchi, fotografo porrettano, che con l'appoggio e il patrocinio del comune hanno costruito un'altra "storia" di fotografia e amore per la gente.

Le  mie immagini saranno esposte al BAM, museo del comune ricavato dalle ex carceri, già a partire da domenica 1 luglio.

Da questo link potrete scaricare la locandina/invito:  








Articolo sul Corriere della Sera del 29-06-2012:







domenica 24 giugno 2012

senza età




io sono per le fotografie senza età





















ph. Peter Lindbergh


giovedì 14 giugno 2012

VINTACC


Non è che io voglia per forza essere controcorrente.

Piuttosto è una questione di insofferenza; un limite mio, insomma. Quando una cosa diventa molto facile, troppo diffusa, quasi inevitabile, allora mi viene a noia e fatico a sopportarla.

Forse dipende dal fatto che i miei genitori ( consapevolmente o meno, non lo so ) mi hanno abituato a non uniformarmi. Quando ero ragazzino tutti avevano la Saltafoss. Eri uno sfigato se non ce l'avevi. Anch'io, naturalmente, sognavo di avere la Saltafoss. I miei, dopo lungo trattare, me la comprarono: simile, ma di un'altra marca… allora l'accettai controvoglia, ma dev'essere che non ho ancora superato oggi, se non mi ricordo nemmeno come si chiamava la mia.  :-)




Più avanti, tutti avevano i Levi's; eri un pirla se non compravi i Levi's. 
I miei genitori cedettero, a modo loro,  solo in parte, per omofonia… Rica Lewis… azz!!!






Ci sono stati anni "che dovevi per forza" metterti le Superga; e io? le solite imitazioni che, diceva mia mamma, "costano meno e sono fatte meglio". Forse aveva ragione, perché poi ci sapeva guardare, ma io… diobono, volevo le Superga!

A quel tempo faticavo a mandare giù. Ero uno che, per non seguire il gruppo come una pecora, per non lasciarmi intruppare, avevo cose ( a detta loro ) più buone a prezzi più giusti rispetto a quelle in voga al momento, ma… gli altri quelle cose le avevano e io no!  Sempre. Ufff!


Eppure questo loro tenace atteggiamento, allora indigesto, mi ha abituato a guardare le cose senza lasciarmi condizionare troppo dalle mode; a vederle per quello che sono e per quello a cui servono, non per ciò a cui è facile aderire per sentirsi parte del branco.





Veniamo alla fotografia. 
Non so voi, ma a me il vintage in fotografia sta venendo profondamente a noia. Mi sto incominciando a rompere di tutte ste foto che scimmiottano gli anni '60 e '70. Spesso belle, per carità. Ne ho scattate e ne scatto anch'io. Ma quando tutti si mettono a fare la stessa cosa, non per una scelta di comunicazione, ma perché è figo fare così, a me viene l'orticaria e mi vien voglia di fare l'opposto. C'è stato un momento, tanti anni fa, nel quale non si poteva scattare senza un filtro flou davanti all'ottica. L'ho fatto anch'io, prima perché usato con parsimonia mi piaceva, poi perché costretto a usarlo dai clienti. Ma arrivati a quel punto io sentii nella pancia il desiderio irrefrenabile di ottiche incise, luci crude, estrema nitidezza. Ora è lo stesso con il vintage sempre e ovunque.







Oggi la tecnologia ci consente di realizzare immagini perfette, incise, calibrate; anche troppo pulite a volte. Soprattutto, la fotografia è entrata nel mondo della matematica: i pixel sono entità numeriche e, in quanto tali, poco legati alla casualità. "Numerique" chiamano il digitale i francesi. E' normale quindi che si senta il bisogno di sporcare le proprie immagini per simulare un non so che di imprevedibile e incontrollabile, come era per la pellicola. Non mi stupisce il fatto che si abbia nostalgia di quel magico margine di indefinibile che era proprio dell'argento e della chimica.



Vintacc Gegé  (c) Davide Cerati



Può essere piacevole ripercorrere e ricostruire quelle atmosfere, se ciò è pertinente con le scelte di comunicazione o se è un gioco. Ma ora pare che sia da sfigati non fare foto vintage, come lo fu avere la Saltasù invece che la Saltafoss. Sembra che un fotografo, per sentirsi sulla cresta dell'onda, debba per forza scimmiottare le fotoricordo degli anni '70 sempre, ogni giorno e in qualsiasi situazione; se no si sente un pirla come quello che non aveva i Levi's. E' diventato così facile simulare quei gusti e quelle atmosfere ( basta una banalissima App dell'iPhone ), che il gioco ha perso per me gran parte del suo fascino.

Insomma: io continuerò a scattare immagini vintage se dentro un particolare progetto ciò a un senso in funzione della comunicazione. Lo faccio ora come lo facevo già 20 anni fa ( e allora sembrava di fare immagini controcorrente ). Ma oggi, sarà forse che comincio a essere vintage anch'io, sento nella pancia un gran desiderio di cambiare aria e uscire dal branco.