mercoledì 24 ottobre 2012

Davide Cerati, fotografo per fototessere



Ok, ho deciso: non è il mio lavoro usuale, ma da domani incomincio a fare le fototessere.

Perché fare le fototessere non è per forza un lavoro di serie B per un fotografo. Lo diventa se si decide di farle con il culo. Se le foto per la patente si possono fare nelle macchinette a 3 euro, o gratis in casa con i software freeware che si trovano in rete, non è che un fotografo deve farle a 2,50 per restare competitivo, o per sentirsi ancora vivo. Perché, a quelle condizioni, sarà costretto a fare foto di merda. Per forza. 

Se i fotografi, invece che fare il loro lavoro di comunicatori, decidono di scendere su questo campo, al massacro, saranno sempre perdenti; e sono loro a decidere di esserlo. Ci sarà sempre qualcuno ( o qualche macchina, o qualche software, o qualche comune ) che sarà in grado di farlo a meno di loro o addirittura gratis; e nulla e nessuno potrà fargliene una colpa, a questi. 


Voglio dire: una volta c'erano persone che si guadagnavano da vivere producendo il ghiaccio, perché nessuno se lo poteva fabbricare da solo. Dal giorno in cui i frigoriferi sono entrati nelle case, è diventato anacronistico pensare di potersi guadagnare da vivere fabbricando ghiaccio, perché tutti hanno incominciato a produrlo per conto proprio.

Cosa dovevano fare i fabbricanti di ghiaccio? pretendere una legislazione che obbligasse la gente a comprarlo da loro, anche se in realtà ognuno se lo poteva produrre autonomamente, con il proprio frigorifero? o forse, piuttosto, adattare la professione a una realtà mutata? magari mettendosi a produrre ghiaccioli e granite?

Allora: ha senso che i fotografi facciano battaglie contro la possibilità di procurarsi fototessere a poco o niente? o che se la prendano perché la gente si fa i ritratti da sola con l'iphone? Di più:  c'è una logica nel rendere sempre meno dignitoso il proprio lavoro, tanto da metterlo in competizione con macchinette o impiegati dell'anagrafe? Erano fotografi di serie B quei professionisti di provincia senza nome che, nel passato, rovinandosi gli occhi al fotoritocco con la lente e la matita, producevano fototessere e ritratti impeccabili che ci hanno trasmesso i volti e i sapori della loro epoca?



1940



Io faccio un lavoro differente, per fortuna e purtroppo. 
Per fortuna perché è affascinante e gratificante; perché ho la possibilità di esprimermi, qualche volta, attraverso le mie immagini; in realtà, soprattutto, perché mi consente di fotografare belle gnocche facendomi persino pagare ( chi poteva immaginarlo quando avevo  15 anni? ). 
Purtroppo, perché devo sovente rincorrere i clienti, sopportarne le paturnie, a volte patteggiare la dignità. Purtroppo, qualche volta, perché devo rincorrere anche i pagamenti mentre a voi, fotografi di fototessere che vi sentite di serie B, i soldi ve li mettono sul banco quando ritirano la busta ( speriamo in cambio di uno scontrino ). Eppure, anche se potrebbe non interessarmi, mi fanno incazzare quelli che vengono ai miei workshop e dicono un po' di soppiatto che fanno matrimoni e fototessere in paese, quasi si sentissero dei poveretti sfortunati.

Ma incominciate ( o rimettetevi ) a fare fototessere ( o matrimoni ) per bene; perché è possibile, e sarebbe un lavoro di grande dignità. Fate fototessere che siano dei ritratti, non fotogrammi di una macchinetta sotto due ombrellini. E le vostre fototessere fatele pagare 120 euro, non 5. 
( 120 e non 100, perché se no sembra che arrotondate in eccesso ).

Nessuno è disposto a pagare 120 euro per la foto della carta d'identità? Per forza! Se gli date una foto di merda come quella del supermercato, nessuno vi pagherà mai 1 centesimo in più che per quella. Anzi: a parità di costo, preferiranno farsele con la macchinetta, perché almeno non avranno da interagire con un pirla che, oltre a fargli delle foto di merda, si atteggia anche a artista della fotografia.

Ma se voi farete dei ritratti, invece che inutili fotogrammi, e insieme alle 4 fototessere consegnerete al cliente anche una foto formato A4, stampata su carta fine art, consegnata in una bella cartellina fighetta da aprire con i guanti di cotone bianco, forse qualcuno che apprezza lo troverete; qualcuno che ci sta a mettere lì il corrispondente di 4 serate in pizzeria per avere, non 4 fototessere scrause, ma un vero e proprio ritratto che lui da solo non è in grado di farsi. Un'immagine che resterà nella storia della sua vita e della sua famiglia, come lo sono le foto dei nostri nonni che tutti abbiamo nel cassetto, scattate da fotografi di provincia molto più umili, ma anche molto più dignitosi di noi. E l'anno dopo magari torneranno per farsi dei ritratti veri e propri da 800 euro, rinunciando a una vacanza a Praga per una cosa che resta.

O no?

Non ci verrà nessuno a fare le fototessere da voi? Ma fare 1 "fototessera" da 120 euro, equivale a farne 24 da 5 euro. Potrete permettervi di avere 23 clienti in meno. O non so fare i conti? Ognuno decide se essere un fotografo di serie B o un fabbricante di comunicazione e di senso, sia che lavori per la moda oppure per la zia Caterina. Se fare un lavoro che ha una dignità, o sputtanarsi al mercato delle vacche. Non ci sono scuse. E' una questione di scelte.

E' una provocazione la mia, non mi nascondo. 
Ma non sto scherzando: annuncio che io, Davide Cerati, da domani faccio le fototessere: per 120 euro, 4 fototessere e una stampa A4  su carta fine art.




Ph. Carlo Carletti


domenica 7 ottobre 2012

Francesco Cito



Francesco Cito: niente di che. 

L'ho conosciuto questa estate in Sardegna, dove abbiamo tenuto un Campus insieme a Berengo Gardin e Benedusi. Al momento mi sono sentito in imbarazzo con le mie foto di modelle messe a fianco delle sue foto di guerra. Poi però ho capito che io sono un vero fotografo, lui invece un semplice scattino. Perché i soggetti delle foto di Francesco Cito sono fotogenici senza bisogno di trucco e parrucco. Troppo facile così. Quando fotografo io, le modelle bisogna prepararle, truccarle, pettinarle, vestirle, illuminarle, dirigerle. Ancora prima, bisogna saperle scegliere giuste, che abbiano la necessaria esperienza, la presenza scenica, l'immagine adeguata al progetto in corso. Poi magari quel giorno hanno le palle girate e allora bisogna in qualche modo conquistarle, consolarle, convincerle; sopportarle anche, a volte. Francesco invece i suoi soggetti li deve soltanto rincorrere; gli basta essere lì e scattare. Sono capaci tutti così! Più che talento di fotografo, servono le dritte giuste, conoscenze che ti portino sul campo in relativa sicurezza, capacità di viaggiatore. Ma una volta lì, chiunque sarebbe capace di fare clic e portare a casa immagini incredibili, perché eccezionale è il soggetto, non il fotografo.

Come dire.

Come dire che Pippo Inzaghi era un giocatore dell'oratorio, perché la sua forza era solo quella di essere lì nell'area piccola, quando la palla gli cadeva addosso, e spingerla in rete. Ma lui intanto, lì, c'era, e la metteva dentro ( sono Interista, per cui mi costa scriverlo, ma è così ).

Io non sono un cultore della foto di "reportage della tragedia". Per lo meno, non lo sono dell'uso gratuito che spesso se ne fa. Ho la sensazione che molti facciano opera di sciacallaggio sulle disgrazie altrui. La tragedia è davvero fotogenica. La sua rappresentazione è ampiamente sfruttata per generare morboso stupore fine a se stesso. Sembra quasi che la fotografia sia "vera fotografia" soltanto quando rappresenta il brutto e il marcio.

Invece.

Invece la fotografia di Francesco non è mai quella di uno spettatore disinteressato e fuori dal gioco, o al di sopra di esso. Francesco è sul campo, come un guerriero, come un protagonista della tragedia stessa. Una tigre, ferita lei stessa delle ferite della sua preda; sporca della stessa terra e dello stesso sangue delle sue immagini. Offeso lui, come i suoi soggetti, dall'oscenità della storia. E le sue foto sono, paradossalmente, non tutte ma molte, glamour tanto quanto lo sono quelle delle mie modelle. Glamour nel senso letterale di "affascinanti", perché ci fanno sentire dentro la battaglia, ci fanno innamorare di quelli uomini e di quelle donne; ci fanno disperare di saperle disperate.

Insomma.

Francesco è uno che a vederlo sembra un marinaio sulla prua di un veliero, sporco di salsedine e catrame; oppure, per contro, un ambulante che vende le magliette del Napoli fuori dallo stadio, tanto si presenta con semplicità, senza vezzi e umilmente. Poi apre la bocca, inizia a parlare, e ti accorgi che ha un mondo di storie da raccontarti che manco il capitano Achab… da ascoltare per ore come se ti raccontasse romanzi, e invece sono storie vere di guerra, di lurida mafia, di rancido sangue e vite frantumate. E lì in mezzo lui. Lui che si sente svenire se si fa un taglietto, che non riesce a dormire se si trova in un letto nuovo; lui che fa quasi tenerezza a sentirgli confessare questi piccoli disagi, ha vissuto dentro ( DENTRO ) situazioni così incredibili, tragedie così grandi, da esserne riuscito a raccontare l'essenza come soltanto un protagonista può fare. Di più: Francesco riesce, nelle sue fotografie, non solo a raccontare e sintetizzare quel giorno o quel momento, ma piuttosto quella storia intera. Questa è grandissima fotografia.

Francesco è uno che fa piacere avere come amico. Uno che dopo dieci minuti ti sembra di conoscere da sempre. Uno che non se la tira e avrebbe, invece, tutte le ragioni per tirarsela presentandosi come un Guru della fotografia; perché lo è.



Francesco Cito - autoritratto con mujiahiddin - 1980




Ph. Francesco Cito - Libano 1983



Ph. Francesco Cito - Libano 1984
 

Ph. Francesco Cito - Libano 1984


Ph. Francesco Cito


Ph. Francesco Cito - 1993 Bosnia


Ph. Francesco Cito - Palestina 1993 


Ph. Giancarlo Mecarelli


Ph. Ivo Saglietti