domenica 5 maggio 2013

IO, MARTINO, LA LUCE


Tanti anni fa, appena diplomato in Comunicazione Visiva, sognando un futuro nel cinema, incidentalmente entrai nel mondo del lavoro facendo le luci ai concerti. Non era il mestiere che sognavo, ma mi interessava ogni cosa riguardasse la luce, la Comunicazione, lo spettacolo. Poi cominciai a fare il fotografo, ci presi gusto e eccomi qui. Un'esperienza piccola e breve quella dei concerti, un altro mondo rispetto a quello di oggi. Ricordo, come fosse oggi, una settimana di serate al Ciak di Milano: salivo su una scala a pertica di legno, orientavo i fresnel manualmente, ci mettevo davanti le gelatine colorate con le mollette di legno; durante il concerto regolavo le luci con un mixer preistorico che aveva pochi cursori per i singoli fari, un master, dei bottoni per flashare. Tutta la mia effettistica era muovere le dita su questi pulsanti come suonassi sulla tastiera, cercando di seguire il ritmo e le atmosfere della musica. Ogni tanto qualche lampada esplodeva, creando paura e spettacolarità impreviste. 
Altre volte ( ricordo un piccolo festival dell'Unità di provincia ) partiva un frigorifero di troppo nell'adiacente chiosco per le salamelle e tutto saltava lasciando al buio la scena. Una sera, in un piccolo teatrino, qualche pirla scambiò la macchina per il fumo a ghiaccio secco con quella a olio ( allora irrespirabile ) saturando troppo il teatro di fumo e costringendo il pubblico all'evacuazione… insomma: veramente un mondo strepennato e esilarante, a ricordarlo ora, ma comunque molto divertente anche allora.






Racconto questi flashback del passato perché oggi mio figlio Martino lavora, lui in modo professionalmente serio, ma immagino altrettanto divertendosi, come light designer; fa cioè la luce dei concerti, progettandone il disegno, la struttura, l'effettistica e realizzandole sul palco durante lo spettacolo. Ora è in tour con i Ministri, sempre in giro per l'Italia. Quando mi parla degli strumenti che usa, lo confesso, non ci capisco una fava, e mi sento pure io preistorico, come il vecchio mixer del Ciak. Tutto è elettronico, computerizzato, multimediale, programmabile. Fantastico, complesso, grandioso. Io non saprei davvero da che parte iniziare, lui sembra sguazzarci con grande libertà e competenza.










Ci sono considerazioni personali: il piacere di vedere che il mondo continua e si evolve; che i figli prendono strade proprie, magari parallele alle tue ( sempre di luce e Comunicazione ci occupiamo, io e lui, e di musica come la mamma ), ma se le costruiscono a modo loro, facendo cose bellissime che tu non sapresti nemmeno immaginare possibili.



 
Martino


Ma ci sono anche ragionamenti più generali che riguardano il mio, il nostro, lavoro: la Comunicazione, la fotografia, la luce, lo spettacolo. I mezzi cambiano, diventano sempre più tecnologicamente complessi e avanzati, permettendo realizzazioni una volta inimmaginabili. Ma l'oggetto e il fine del creare, in questi campi, era e resta uno solo: la Comunicazione. Non lavoriamo per realizzare sensazioni "belle" fini a se stesse. Se una bella luce non comunica nella direzione che vorremmo, è soltanto un traguardo estetico che si esaurisce lì; è arredamento luminoso inutile o addirittura deviante. La luce, oggi come trent'anni fa, come 100 anni fa, comunica calore o freddo, esuberanza o apatia, ansia o serenità. Miscelare consapevolmente questi sapori in un'immagine, o su un palco, in modo pertinente rispetto al soggetto ( o alla musica ), è il nostro compito. Si sa, i figli sò piezz 'e core, ma Martino credo che questo compito lo svolga molto bene.










E in questo senso sono cambiati soltanto i mezzi, non la sostanza della Comunicazione. Martino ora usa strumenti che per me sono fantascienza, e io uso come tutti un digitale che sembra aver stravolto la vita a molti. Ma in realtà abbiamo soltanto messo un sensore al posto della pellicola; questo ci ha portato enormi vantaggi, soprattutto in termini di controllo del risultato finale; io almeno la vedo così. Però l'oggetto vero del nostro lavoro è rimasto identico a quello del mondo analogico: raccontare storie, emozioni, concetti, sensazioni attraverso un rettangolo, una finestra, che delimita e seleziona porzioni di realtà trasformandosi in una nuova realtà essa stessa. L'identico processo che avviene nel rettangolo di un palco. La nostra testa si deve occupare di questo e gli strumenti sono soltanto il mezzo per raggiungere obiettivi più alti. Su questo piano si gioca la differenza tra uno che fa le foto e un buon fotografo, oppure tra uno che fa le luci e un ottimo datore luci 
( o light designer che fa più figo ).