domenica 16 marzo 2014

ADV PORADA

Le mie fotografie realizzate per la campagna pubblicitaria
 "Learn, Live, Dream" di PORADA, azienda di arredamento.

Cartoline dall'Italia 

 A breve i backstage



 Mandello del Lario (LC)



Cento (FE)



Barano d'Ischia (NA)



Greve in Chianti (FI)



Como 



Milano  











lunedì 3 marzo 2014

IL FOTOGRAFO NOIOSO

Sì, lo so, scrivo dei post troppo lunghi; eccessivi viste le velocità di oggi. I miei figli mi dicono che è una logica vecchia perché, tanto, nessuno più si ferma a leggere interventi così lunghi. Mi dicono che bisogna sfruttare la sinteticità di Twitter, lanciare piccoli sassolini nei social network. Li capisco. Non ci resto male per le loro osservazioni.

Ma io di mestiere faccio il fotografo e lavoro con le immagini. Su quel campo di battaglia so essere sintetico; anzi, ho scelto la fotografia proprio perché consente la sintesi. 


Quando scrivo, invece, mi piace sviluppare un discorso, approfondire, sminuzzare l'argomento. Non mi guadagno da vivere con la scrittura e quindi posso permettermi di annoiare il mio piccolissimo pubblico, perdendone la più parte dopo poche righe. Amen.


Se invece qualcuno riesce a arrivare fino in fondo, vorrà dire che l'argomento lo interessava e quindi ci rincoglioniremo un po' insieme come fanno i vecchi che discutono davanti ai cantieri stradali, o come certi signori vintage, sorseggiando un bicchiere di whisky torbato al circolo.

domenica 2 marzo 2014

IL FOTOGRAFO INUTILE

Mi fanno sorridere gli interventi che tendono a indicare nell'avvento del digitale la responsabilità di una crisi sempre più galoppante del mondo fotografico professionale, tale da metterne in dubbio la sopravvivenza. "Il digitale è la morte della fotografia"; "Con il digitale tutti si sentono fotografi"; "E' diventato troppo facile fotografare". 

Mah... per quello che riguarda il mezzo, per me è cambiato soltanto il supporto. La fotografia come strumento per costruire Comunicazione è rimasta uguale: una forma di linguaggio che serve a raccontare le proprie storie o la propria visione del mondo. Certo è più facile fotografare oggi che dieci o venti anni fa. Ma quanto è stato più facile ottenere risultati tecnicamente validi per i fotografi negli anni '80, rispetto a chi viveva di fotografia negli anni '40? e, in generale, quanto si è semplificata la tecnica nel '900, rispetto a quella del dagherrotipista dell'800? E allora? Bisognava restare fermi là? Avedon, negli anni '40, scattava con fotocamere che erano macinini del caffè, rispetto a quelle iper-tecnologiche di oggi; ma le sue foto sono ancora straordinarie e attuali ai giorni nostri, dopo 70 anni. Oggi, con in mano una digitale, il valore di Avedon finirebbe per essere sminuito? Io credo di no perché, ancora oggi, tenere al collo una fotocamera figa è sufficiente solo per sentirsi "photographer", non per esserlo davvero.

Certo, meno diventa esclusivo l'utilizzo del mezzo e più è in discussione la necessità di professionisti che possano fornire servizi di qualità. Sarà sempre più difficile procurarsi di che vivere attraverso la fotografia. I motivi sono tanti, ma mi sembra davvero riduttivo indicare nel digitale la responsabilità di questa involuzione del mestiere. Piuttosto è in un’altra digitalizzazione, più globale, che bisogna cercarne l’innesco ( occhio, solo l’innesco ): sostanzialmente nella rete e nella sua velocità di trasmissione dei dati e delle informazioni.

Allora vogliamo dire che la rete è il male? Io non sono d’accordo, così come penso fosse anacronistico, all’epoca, considerare diabolico l’avvento dei trasporti, della stampa, della televisione, o di qualsiasi altro mezzo che velocizzasse la Comunicazione. Questi sono solo starter, acceleratori, ma io credo che le responsabilità, nel nostro caso, siano tutte dei fotografi. Sarà bene che nel nostro mondo, finalmente, ci si chieda quale sia il ruolo del fotografo professionista. 

La digitalizzazione è arrivata dappertutto. Perché allora un musicista non inveisce contro l’avvento degli strumenti elettronici, ma anzi li usa e ne sfrutta le potenzialità? perché la musica continua e continuerà, nonostante e oltre il digitale? Sì, lo so: la musica scaricata illegalmente, la crisi della discografia, e bla, bla, bla… ma sono in crisi e in trasformazione i meccanismi della commercializzazione e della distribuzione musicale; i musicisti professionisti continueranno a esistere. Perché loro sì e noi no?

Il motivo sta nel fatto che la musica di alta qualità, professionale, continuerà ad avere un senso e quindi un valore sul mercato; il pubblico, più o meno consapevolmente, continuerà a desiderare buona musica e a percepirne il valore. Perché per il musicista è sempre stato chiaro che l’oggetto del suo lavoro è la narrazione musicale e non la sua chitarra. Per cui cambiano gli strumenti, muta il mercato, si trasformano i meccanismi della distribuzione, ma nella sostanza il ruolo del musicista non è cambiato, che usi strumenti digitali o analogici: continuerà a usarli per creare il suo racconto e la sua Comunicazione. 

Il nostro invece è un mondo fatto di persone ( non vale per tutti, ovviamente ) che hanno sempre ignorato il loro ruolo di comunicatori, facendo oggetto del proprio esistere gli strumenti e la capacità di usarli. Senza costruire negli anni una competenza davvero più alta, difficilmente assimilabile da un “amatore”. Soprattutto, senza formare il proprio interlocutore al valore della fotografia e della Comunicazione di qualità, così che lui continui a sentire il bisogno della competenza che soltanto un vero professionista può avere. Cioè: il mondo della fotografia ha venduto, per troppo tempo, più fumo che arrosto.

In campo musicale un professionista si è fatto un mazzo tale e ha acquisito una competenza così ampia, che nessun dilettante potrà competere davvero con lui, quando si parla di lavori seri. Il mondo fotografico invece si è rilassato per decenni dietro gli strumenti: il banco ottico ce l’aveva solo il professionista, e così la mezzo formato. Molti hanno ritenuto che il possedere uno di questi strumenti, e il saper esporre e inquadrare correttamente, facesse di lui un fotografo. Il fotografo invece doveva e dovrebbe essere, prima che un tecnico, un esperto di Comunicazione. Occhio: non un “creativo” passionale, come malauguratamente noi spesso ci dipingiamo per sentirci artisti. Esperto di Comunicazione: cioè uno che quando sviluppa una produzione non inventa nulla, ma realizza con coerenza e in modo pertinente un progetto di Comunicazione, come lo sono un romanzo o un’opera musicale. Come uno chef è inattaccabile nella sua professionalità perché, non solo sa cucinare bene, ma sa usare le sue materie prime e le sue padelle con consapevolezza e coerenza, per creare una Comunicazione di gusto, di olfatto, di consistenze. 

Insomma: se il senso di esistenza del professionista fotografo è quello di saper usare lo strumento fotocamera, questo mestiere è già finito. Se invece saremo capaci di crescere come “narratori che usano la fotocamera per comunicare”, con competenza e capacità alte, allora, forse, uno spazio ci sarà ancora per questa professione. 

Il mondo fotografico, duole dirlo, è stato troppo spesso costituito da cialtroni che si sono auto-dichiarati professionisti per aver comperato un’Hasselblad o una Sinar, senza preoccuparsi di quale Comunicazione producessero usando quegli strumenti. Ora che l’Hasselblad e la Sinar non sono più indispensabili per fare ottime fotografie, il castello costruito sulla sabbia crolla trascinandosi dietro il settore intero, tutti compresi, e sembra troppo tardi per piangere.