mercoledì 10 luglio 2013

SPAZZATURA VISIVA




La settimana scorsa ho girato in lungo e in largo Milano, alla ricerca di graffiti che facciano da background a un mio servizio fotografico con una musicista. Durante la ricerca mi risuonavano nelle orecchie certi titoli di giornale, tante frasi di sdegnata lamentela verso questa forma d’espressione troppo volutamente per tutti e fuori dal mercato per conquistare fino in fondo il mondo dell’arte. Non sono un’esperto e quindi le mie considerazioni sono quelle di un selvaggio che esplora la città con gli occhi e le sensazioni. 




Ci sono cose bellissime ( i muri fuori dal Leoncavallo, per esempio, sono magnifici ) come, certo, tante porcherie. Così come c’è buona oppure squallida fotografia, ottima musica e pessima musica, bellissima pubblicità e comunicazione-spazzatura. 




Non bisogna confondere, tra l’altro, i graffiti con i tags. I graffiti sono spesso opere di altissima qualità, mentre i tags sono firme, scritte, scarabocchi, il più delle volte merda che incrosta senza logica ne gusto la città e i monumenti. So che ci sono discussioni e differenti punti di vista all’interno di questo mondo di persone che usa i muri come superficie per esprimersi o per imbrattare. Immagino che, anche parlando di tags, bisognerebbe saper fare le dovute distinzioni, tra la spazzatura e il senso. Non voglio nemmeno entrare in questa discussione perché non ho la conoscenza ne la competenza per dire cose che abbiano un valore. 







Ma, certo, tolti appunto i tags a sproposito che non amo, e senza genericamente apprezzare qualsiasi graffito per partito preso, ho visto opere d’arte meravigliose che verrebbe voglia di portarsi a casa, se non fosse che invece hanno valore proprio perché sono lì per tutti, sui muri di una città che altrimenti, senza, sarebbe più povera.












Quello che invece mi ha disturbato, in questa esplorazione della città, sono le insegne dei negozi: sempre più pacchiane, orribili, invadenti; vera spazzatura visiva. Da quando è arrivata la stampa digitale sui più svariati materiali, i centri stampa, i "creativi", tutti si sentono grafici e comunicatori, ognuno si sente in diritto di sputare quel che crede, di fare il “diverso”, producendo montagne di monnezza che stanno inquinando le città: insegne dai colori inverosimili, grafiche allucinanti, spesso con disegni di cattivo gusto, o tremende fotografie che non hanno funzione alcuna se non quella di alzare la voce e urlare la propria inconsistenza. E vogliamo parlare dell’assurda moda di coprire completamente le vetrine con fotografie e grafiche adesive, il più delle volte anche queste di qualità infima?














Anche i bordi delle strade fuori città sono sempre più sommerse di cartellonistica tremenda. Si tagliano gli alberi, non esiste più una strada alberata perché la manutenzione costa, mentre la cartellonistica è fonte di business e quindi sempre più invadente, fino a coprire il paesaggio. 






Non sono un nostalgico ( o meglio, non lo sono più ) perché ho smesso di considerare buono tutto ciò che è passato, soltanto per fare poesia da quattro soldi. Ma in questo caso specifico rimpiango le sobrie insegne dei negozi di una volta, non perché “di una volta”, ma piuttosto per il rispetto che avevano dell’arredo urbano, degli occhi e della mente; per la loro semplice funzione di richiamo al contenuto e non, come sempre più spesso accade, di caciara per coprire un vuoto di qualità e di sostanza.

Non sto scrivendo nulla di nuovo, e ci sono persone più autorevoli di me nel difendere l'arte murale. Ma ci stanno riempiendo di merda gli occhi e trovo imbarazzante che qualcuno ancora si lamenti dei graffiti. Il vero inquinamento visivo è in questo uso spropositato di urla sguaiate sopra le vetrine e lungo le strade, non certo nei graffiti.