venerdì 1 dicembre 2017

MOSTRA FOTOGRAFICA A BOLOGNA

FINO AL 17 DICEMBRE, FINO AL 23 DICEMBRE!
A BOLOGNA

NITIDO. COMPLETELY OUT OF FOCUS
Mostra fotografica di Davide Cerati








Robert Capa, nel 1947, pubblicò "Slightly out of focus", "Leggermente fuori fuoco", il diario in immagini e parole della sua esperienza sul campo nella seconda guerra mondiale. Qui racconta, tra l'altro, della sua sequenza di undici immagini scattate durante lo sbarco americano in Normandia, le uniche salvate e pubblicate; foto leggermente mosse, sfocate, uniche però di quel momento, e quindi "utili", evocative e narrativamente forti. Involontariamente e inaspettatamente più efficaci, dal punto di vista narrativo, di eventuali corrispondenti immagini perfettamente nitide e dettagliate.

Non so cosa volesse effettivamente dire Robert Capa riguardo a questo discorso del fuori fuoco, tanto da farci il titolo del suo libro. Forse solo il pretesto per giustificare una carenza tecnica che non gli andava giù.

Io però ci leggo anche l'idea di essere (il fotografo) appena poco più in là (o più in qua) del punto dove colpisce il fuoco della battaglia; accanto, a fianco dell’azione; "quasi" nel centro dell’evento. Appena un po' fuori da dove il fuoco colpisce. E anche l'idea che quella "sporcizia" tecnica e quella scarsa nitidezza racconti e porti lo spettatore dentro l'azione meglio di un'immagine tecnicamente corretta. 

Non credo davvero che questo sia stato il pensiero di Capa e probabilmente la mia è un'interpretazione di basso livello, ma a volte mi concedo di costruirmi dei film in testa, con la massima libertà. Ho pensato di intitolare la mostra:

NITIDO
Completely out of focus

In primis in omaggio a Robert Capa con la citazione distorta della sua opera. Con un filo di ironia, dati i miei soggetti molto più leggeri, e con quella premessa ("NITIDO") perché le mie sfocature e i mossi sono in realtà funzionali alla "messa a fuoco" del movimento, dell'azione, della forma, dell'atteggiamento corporeo invece che del suo dettaglio superficiale. Cioè: il mio intento non è quello di fare foto poco nitide tanto per farle, perché fa "arte", ma piuttosto di perseguire la nitidezza di un piano differente da quello primario fisico e materico; mettere a fuoco invece l'azione, il passaggio, la sequenza, il movimento.

Questo modo, nella fotografia, di andare oltre lo spazio bidimensionale e statico, simulando un ritmo temporale e il movimento che le manca, mi è stato da sempre chiaro e mi ha subito affascinato guardando già da ragazzino le immagini di Capa, prima ancora di leggere, in tempi più recenti, le sue parole. 

E così anche lo stratagemma di fermare nello scatto l'immediatamente prima, per evocare un seguito, una sequenza, il dopo che sta fuori dal fotogramma, in una sorta di swing visivo fatto di continui anticipi, battute in levare, contrazioni. 

Siccome io sono, dentro, un uomo di cinema frustrato, questo surrogato fotografico del movimento è per me una medicina.

Troppo da spiegare? Bah, credo che un titolo non serva a spiegare, ma piuttosto a stimolare degli interrogativi cui ognuno può dare la sua risposta, se vuole. Oppure stimolare un bel: "questo qui è scemo!" che può essere molto liberatorio.


Davide Cerati.



Fino al 23 Dicembre 2017   Fino al 23 Dicembre 2017 

nello spazio espositivo di @paolettifoto

GALLERIA CAVOUR 3/c (in balconata)

BOLOGNA.



Lunedì, martedì, mercoledì, venerdì e sabato 

dalle 10:00 alle 13:00
dalle 15.30 alle 19.30

Ingresso libero.





mercoledì 5 luglio 2017

IL RE DEL BARETTO


Cari ragazzi,
vorrei condividere alcuni pensieri che mi inseguono frequentemente, negli ultimi tempi. 

Non sarò breve.

Vedo un mondo di fotografi, in Italia, ma non solo in Italia, affannati a dimostrare di essere importanti, preoccupati di scalare posizioni nel mondo della fotografia, ossessionati da un social-presenzialismo che, a occhio, riempie loro le giornate. 

Un po' come certi nobiluomini che, dentro un mondo che andava velocemente trasformandosi nel bene e nel male, all'inizio del novecento, continuavano imperterriti a vivere e rivendicare la propria posizione sociale secondo canoni vetusti, senza accorgersi che il mondo li stava travolgendo, fottendosene bellamente delle loro nobili presunzioni.




Alfonso Maria di Sant'Agata dei Fornai (Gianni Crosio), 
passa in auto tra i pernacchi degli abitanti del vicolo, 
istruiti dal professore Don Ersilio (Eduardo De Filippo).
ne “L'oro di Napoli” di Vittorio De Sica (1954)


Intanto la fotografia sta cambiando; anzi, tra qualche anno probabilmente la fotografia non esisterà più. Di sicuro non sarà più quella che abbiamo vissuto fino ad ora. I cambiamenti sono stati così grossi e travolgenti negli ultimi vent'anni, nel bene e nel male, che è difficile immaginare cosa ne sarà, anche solo tra dieci. 

Una volta le persone normali possedevano una compattina con la quale era difficile realizzare una buona immagine oppure, chi se lo poteva permettere tra i non professionisti, esibiva una reflex, o una Leica, o un'Hasselblad, che il più delle volte non sapeva usare. L'uomo comune degli anni ’60-’80, o non aveva una fotocamera, o aveva una semplice Kodak Instamatic con la quale era impossibile scattare una foto decente; impossibile! 



Kodak Instamatic AD, 1964


Comunque, tra lo scatto e la visualizzazione dell'immagine passavano giorni; per una eventuale, difficile e poco frequente pubblicazione, settimane o mesi. La distribuzione, e quindi condivisione con un eventuale pubblico, era riservata a pochi, pochissimi. Da qui il crearsi dei miti; chi ci riusciva aveva davvero qualcosa in più, e chi ci riusciva meglio diventava una vera star, riconosciuta come tale ancora ai nostri tempi.

Oggi le stars non ci sono più. Oppure sono così effimere da passare via senza lasciare traccia, sul lungo periodo.

Adesso tutti abbiamo in tasca un'ottima fotocamera, bambini compresi, nel nostro smartphone. Scattiamo, vediamo subito l'immagine finale e nel giro di pochi secondi siamo in grado di condividerla con un pubblico potenzialmente enorme. Certo, mica tutti fanno fotografie interessanti; il linguaggio fotografico è complesso e bisogna padroneggiarlo al di là della tecnica, ma è diventato velocissimo e facilissimo arrivare a un pubblico, per chi la testa ce l'ha e la sa usare. 
Insomma, io stesso, ancora DIECI anni fa, andavo sotto il panno nero del banco ottico per esporre una lastra, come nell'800, e poi aspettavo! Aspettavo tempi lunghissimi, rispetto a oggi. 

Un'altra era. 

Non è mia intenzione affermare che il digitale ha rovinato la fotografia perché non lo penso affatto, e chi mi conosce lo sa. Non ho alcuna nostalgia dell’analogico. Che è cambiata davvero non è la fotografia dal punto di vista tecnico, ma la velocità della sua condivisione e fruizione. Se è stato così rapido il cambiamento avvenuto fin qui, cosa sarà la fotografia tra dieci anni? E tra venti?




Gabriele Basilico in una foto di Luca Battaglia



Avete presente com'è diventato facile "usare" la fotografia e com’è invece sempre più complesso realizzare un film, un vero film che va nelle sale, non un video; o un grande concerto, o un evento live potente? Dove saranno secondo voi le stars, tra vent'anni? O meglio: dove saranno i professionisti altamente specializzati che saranno richiesti dal mercato per la loro competenza? Dove sono già oggi, mentre noi giochiamo a chi è il Re del nostro cortile di provincia?

Certo, molti nobiluomini nel novecento si sono riciclati, chi in una borghesia imprenditoriale o finanziaria, chi dentro a nicchie che sopravvivono di rendita. Molti hanno comunque mantenuto posizioni di potere e di ricchezza. Ma, e qui sta il limite di questo paragone, i fotografi, a parte poche eccezioni che raramente dipendono dalla fotografia, non sono potenti e ricchi come le nobiltà dei secoli scorsi. Quindi difficilmente si salveranno contando sui propri possedimenti, appoggi, o status sociale.

Perciò, ragazzi, forse sarebbe meglio affannarsi per pensare a come riciclarsi, o a come adattare la propria professione al futuro, piuttosto che per dimostrare al mondo che importanti fotografi siamo. Oppure per crearci una nicchia vivibile nella quale continuare a fare il nostro mestiere per bene, con umiltà e senso della misura. Non credete sia anacronistico atteggiarsi da divi, quando stiamo parlando d’un piccolo mondo di nostalgici che avrà vita breve e che, soprattutto, interesserà a pochi? 

Quando si scatterà con un battito di ciglia dalle nostre lenti a contatto da 5000 megapixel, inviando la nostra "fotografia" in tempo reale nel pensiero di miliardi di nostri followers, come sarà la fotografia e dove saranno i fotografi? Sarà sempre determinante saper usare questo linguaggio, certo; anzi lo sarà di più. Ma avrà ancora senso parlare del mestiere di fotografo?




Disegno del brevetto Sony per lenti a contatto con fotocamera incorporata.
Voci di corridoio, 2016




Io spero, anzi sono certo, che l'immagine fissa continuerà ad avere senso, ma vivremo, se Dio vuole, in un mondo dove ci saranno meno stars e più costruttori di comunicazione e "operai del linguaggio". 

A me, comunque, fotte sega di rincorrere uno status che ormai è ridicolo davanti al mondo che sta cambiando a tutta velocità, se non per quanto può essere utile al mio business e alla mia ricerca.

Poi magari il mondo, la rete, le società collasseranno e allora diventeranno ridicoli anche i cambiamenti di oggi; ma questo spero non avvenga mai.


I miei figli mi consiglierebbero di sintetizzare tutto questo sproloquio in un tweet, "così almeno qualcuno lo legge". Avrebbero ragione loro, che sono il futuro. Una roba tipo:

"Ragazzi, datevi una calmata, che la fotografia è un piccolo baretto di provincia. Diventarne il re è veramente poca cosa, addirittura un po' triste.”

Come vedete ne sarei capace, ma io confido nel fatto che esista ancora qualche nostalgico a cui piace approfondire e condividere ragionamenti (o forse solo leggere). 




                           “… e poi ci troveremo come le stars
                                        a bere del whisky al Roxy bar
                                        o forse non c'incontreremo mai
                                        ognuno a rincorrere i suoi guai
                                        ognuno col suo viaggio
                                        ognuno diverso
                                        e ognuno in fondo perso 
                                        per i cazzi suoi…”

                                        Rossi Vasco, 1983




Roxy bar, Bologna
Fotografia di Francesco Merenda






martedì 14 marzo 2017

UNA MOSTRA FOTOGRAFICA DI DAVIDE CERATI, A APRILE, A MILANO


NITIDO. COMPLETELY OUT OF FOCUS

Mostra fotografica di Davide Cerati

6-21 Aprile 2017
Vernissage 5 Aprile 2017 alle ore 18,30. Ingresso libero

Spazio Kryptos
Via Panfilo Castaldi 26
Milano

a cura di Filippo Rebuzzini
www.obiettivocamera.it
info@obiettivocamera.it












Robert Capa, nel 1947, pubblicò "Slightly out of focus", "Leggermente fuori fuoco", il diario in immagini e parole della sua esperienza sul campo nella seconda guerra mondiale. Qui racconta, tra l'altro, della sua sequenza di undici immagini scattate durante lo sbarco americano in Normandia, le uniche salvate e pubblicate; foto leggermente mosse, sfocate, uniche però di quel momento, e quindi "utili", evocative e narrativamente forti. Involontariamente e inaspettatamente più efficaci, dal punto di vista narrativo, di eventuali corrispondenti immagini perfettamente nitide e dettagliate.

Non so cosa volesse effettivamente dire Robert Capa riguardo a questo discorso del fuori fuoco, tanto da farci il titolo del suo libro. Forse solo il pretesto per giustificare una carenza tecnica che non gli andava giù.

Io però ci leggo anche l'idea di essere (il fotografo) appena poco più in là (o più in qua) del punto dove colpisce il fuoco della battaglia; accanto, a fianco dell’azione; "quasi" nel centro dell’evento. Appena un po' fuori da dove il fuoco colpisce. E anche l'idea che quella "sporcizia" tecnica e quella scarsa nitidezza racconti e porti lo spettatore dentro l'azione meglio di un'immagine tecnicamente corretta. 

Non credo davvero che questo sia stato il pensiero di Capa e probabilmente la mia è un'interpretazione di basso livello, ma a volte mi concedo di costruirmi dei film in testa, con la massima libertà. Ho pensato di intitolare la mostra:

NITIDO
Completely out of focus

In primis in omaggio a Robert Capa con la citazione distorta della sua opera. Con un filo di ironia, dati i miei soggetti molto più leggeri, e con quella premessa ("NITIDO") perché le mie sfocature e i mossi sono in realtà funzionali alla "messa a fuoco" del movimento, dell'azione, della forma, dell'atteggiamento corporeo invece che del suo dettaglio superficiale. Cioè: il mio intento non è quello di fare foto poco nitide tanto per farle, perché fa "arte", ma piuttosto di perseguire la nitidezza di un piano differente da quello primario fisico e materico; mettere a fuoco invece l'azione, il passaggio, la sequenza, il movimento.

Questo modo, nella fotografia, di andare oltre lo spazio bidimensionale e statico, simulando un ritmo temporale e il movimento che le manca, mi è stato da sempre chiaro e mi ha subito affascinato guardando già da ragazzino le immagini di Capa, prima ancora di leggere, in tempi più recenti, le sue parole. 

E così anche lo stratagemma di fermare nello scatto l'immediatamente prima, per evocare un seguito, una sequenza, il dopo che sta fuori dal fotogramma, in una sorta di swing visivo fatto di continui anticipi, battute in levare, contrazioni. 

Siccome io sono, dentro, un uomo di cinema frustrato, questo surrogato fotografico del movimento è per me una medicina.

Troppo da spiegare? Bah, credo che un titolo non serva a spiegare, ma piuttosto a stimolare degli interrogativi cui ognuno può dare la sua risposta, se vuole. Oppure stimolare un bel: "questo qui è scemo!" che può essere molto liberatorio.


Davide Cerati.