Francesco Cito: niente di che.
L'ho conosciuto questa estate in Sardegna, dove abbiamo tenuto un Campus insieme a Berengo Gardin e Benedusi. Al momento mi sono sentito in imbarazzo con le mie foto di modelle messe a fianco delle sue foto di guerra. Poi però ho capito che io sono un vero fotografo, lui invece un semplice scattino. Perché i soggetti delle foto di Francesco Cito sono fotogenici senza bisogno di trucco e parrucco. Troppo facile così. Quando fotografo io, le modelle bisogna prepararle, truccarle, pettinarle, vestirle, illuminarle, dirigerle. Ancora prima, bisogna saperle scegliere giuste, che abbiano la necessaria esperienza, la presenza scenica, l'immagine adeguata al progetto in corso. Poi magari quel giorno hanno le palle girate e allora bisogna in qualche modo conquistarle, consolarle, convincerle; sopportarle anche, a volte. Francesco invece i suoi soggetti li deve soltanto rincorrere; gli basta essere lì e scattare. Sono capaci tutti così! Più che talento di fotografo, servono le dritte giuste, conoscenze che ti portino sul campo in relativa sicurezza, capacità di viaggiatore. Ma una volta lì, chiunque sarebbe capace di fare clic e portare a casa immagini incredibili, perché eccezionale è il soggetto, non il fotografo.
Come dire.
Come dire che Pippo Inzaghi era un giocatore dell'oratorio, perché la sua forza era solo quella di essere lì nell'area piccola, quando la palla gli cadeva addosso, e spingerla in rete. Ma lui intanto, lì, c'era, e la metteva dentro ( sono Interista, per cui mi costa scriverlo, ma è così ).
Io non sono un cultore della foto di "reportage della tragedia". Per lo meno, non lo sono dell'uso gratuito che spesso se ne fa. Ho la sensazione che molti facciano opera di sciacallaggio sulle disgrazie altrui. La tragedia è davvero fotogenica. La sua rappresentazione è ampiamente sfruttata per generare morboso stupore fine a se stesso. Sembra quasi che la fotografia sia "vera fotografia" soltanto quando rappresenta il brutto e il marcio.
Invece.
Invece la fotografia di Francesco non è mai quella di uno spettatore disinteressato e fuori dal gioco, o al di sopra di esso. Francesco è sul campo, come un guerriero, come un protagonista della tragedia stessa. Una tigre, ferita lei stessa delle ferite della sua preda; sporca della stessa terra e dello stesso sangue delle sue immagini. Offeso lui, come i suoi soggetti, dall'oscenità della storia. E le sue foto sono, paradossalmente, non tutte ma molte, glamour tanto quanto lo sono quelle delle mie modelle. Glamour nel senso letterale di "affascinanti", perché ci fanno sentire dentro la battaglia, ci fanno innamorare di quelli uomini e di quelle donne; ci fanno disperare di saperle disperate.
Insomma.
Francesco è uno che a vederlo sembra un marinaio sulla prua di un veliero, sporco di salsedine e catrame; oppure, per contro, un ambulante che vende le magliette del Napoli fuori dallo stadio, tanto si presenta con semplicità, senza vezzi e umilmente. Poi apre la bocca, inizia a parlare, e ti accorgi che ha un mondo di storie da raccontarti che manco il capitano Achab… da ascoltare per ore come se ti raccontasse romanzi, e invece sono storie vere di guerra, di lurida mafia, di rancido sangue e vite frantumate. E lì in mezzo lui. Lui che si sente svenire se si fa un taglietto, che non riesce a dormire se si trova in un letto nuovo; lui che fa quasi tenerezza a sentirgli confessare questi piccoli disagi, ha vissuto dentro ( DENTRO ) situazioni così incredibili, tragedie così grandi, da esserne riuscito a raccontare l'essenza come soltanto un protagonista può fare. Di più: Francesco riesce, nelle sue fotografie, non solo a raccontare e sintetizzare quel giorno o quel momento, ma piuttosto quella storia intera. Questa è grandissima fotografia.
Francesco è uno che fa piacere avere come amico. Uno che dopo dieci minuti ti sembra di conoscere da sempre. Uno che non se la tira e avrebbe, invece, tutte le ragioni per tirarsela presentandosi come un Guru della fotografia; perché lo è.
Meno male che c'è chi riesce a fare ciò che mi piacerebbe fare ma non ho il coraggio di fare.
RispondiEliminaImpressive shots, well done
RispondiEliminaUna bella descrizione, sottoscrivo
RispondiEliminaUn umiltà incredibile, Francesco quella notte al campus si fermò a parlare con me che non sono che l'ultimo degli ultimi, e mi parlava da persona a persona con una umanità che non dimenticherò mai; e non si tratta di umiltà di circostanza, ma di quella vera, autentica, di chi ha visto cosi tante cose che ha la misura ed il metro per valutare l'uomo e le circostanze, non so dire se nasca prima l'uomo Francesco Cito o il fotografo, so che ho visto entrambi come giganti e che le sue fotografie mi hanno lasciato un nodo in gola che non dimenticherò
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