domenica 2 marzo 2014

IL FOTOGRAFO INUTILE

Mi fanno sorridere gli interventi che tendono a indicare nell'avvento del digitale la responsabilità di una crisi sempre più galoppante del mondo fotografico professionale, tale da metterne in dubbio la sopravvivenza. "Il digitale è la morte della fotografia"; "Con il digitale tutti si sentono fotografi"; "E' diventato troppo facile fotografare". 

Mah... per quello che riguarda il mezzo, per me è cambiato soltanto il supporto. La fotografia come strumento per costruire Comunicazione è rimasta uguale: una forma di linguaggio che serve a raccontare le proprie storie o la propria visione del mondo. Certo è più facile fotografare oggi che dieci o venti anni fa. Ma quanto è stato più facile ottenere risultati tecnicamente validi per i fotografi negli anni '80, rispetto a chi viveva di fotografia negli anni '40? e, in generale, quanto si è semplificata la tecnica nel '900, rispetto a quella del dagherrotipista dell'800? E allora? Bisognava restare fermi là? Avedon, negli anni '40, scattava con fotocamere che erano macinini del caffè, rispetto a quelle iper-tecnologiche di oggi; ma le sue foto sono ancora straordinarie e attuali ai giorni nostri, dopo 70 anni. Oggi, con in mano una digitale, il valore di Avedon finirebbe per essere sminuito? Io credo di no perché, ancora oggi, tenere al collo una fotocamera figa è sufficiente solo per sentirsi "photographer", non per esserlo davvero.

Certo, meno diventa esclusivo l'utilizzo del mezzo e più è in discussione la necessità di professionisti che possano fornire servizi di qualità. Sarà sempre più difficile procurarsi di che vivere attraverso la fotografia. I motivi sono tanti, ma mi sembra davvero riduttivo indicare nel digitale la responsabilità di questa involuzione del mestiere. Piuttosto è in un’altra digitalizzazione, più globale, che bisogna cercarne l’innesco ( occhio, solo l’innesco ): sostanzialmente nella rete e nella sua velocità di trasmissione dei dati e delle informazioni.

Allora vogliamo dire che la rete è il male? Io non sono d’accordo, così come penso fosse anacronistico, all’epoca, considerare diabolico l’avvento dei trasporti, della stampa, della televisione, o di qualsiasi altro mezzo che velocizzasse la Comunicazione. Questi sono solo starter, acceleratori, ma io credo che le responsabilità, nel nostro caso, siano tutte dei fotografi. Sarà bene che nel nostro mondo, finalmente, ci si chieda quale sia il ruolo del fotografo professionista. 

La digitalizzazione è arrivata dappertutto. Perché allora un musicista non inveisce contro l’avvento degli strumenti elettronici, ma anzi li usa e ne sfrutta le potenzialità? perché la musica continua e continuerà, nonostante e oltre il digitale? Sì, lo so: la musica scaricata illegalmente, la crisi della discografia, e bla, bla, bla… ma sono in crisi e in trasformazione i meccanismi della commercializzazione e della distribuzione musicale; i musicisti professionisti continueranno a esistere. Perché loro sì e noi no?

Il motivo sta nel fatto che la musica di alta qualità, professionale, continuerà ad avere un senso e quindi un valore sul mercato; il pubblico, più o meno consapevolmente, continuerà a desiderare buona musica e a percepirne il valore. Perché per il musicista è sempre stato chiaro che l’oggetto del suo lavoro è la narrazione musicale e non la sua chitarra. Per cui cambiano gli strumenti, muta il mercato, si trasformano i meccanismi della distribuzione, ma nella sostanza il ruolo del musicista non è cambiato, che usi strumenti digitali o analogici: continuerà a usarli per creare il suo racconto e la sua Comunicazione. 

Il nostro invece è un mondo fatto di persone ( non vale per tutti, ovviamente ) che hanno sempre ignorato il loro ruolo di comunicatori, facendo oggetto del proprio esistere gli strumenti e la capacità di usarli. Senza costruire negli anni una competenza davvero più alta, difficilmente assimilabile da un “amatore”. Soprattutto, senza formare il proprio interlocutore al valore della fotografia e della Comunicazione di qualità, così che lui continui a sentire il bisogno della competenza che soltanto un vero professionista può avere. Cioè: il mondo della fotografia ha venduto, per troppo tempo, più fumo che arrosto.

In campo musicale un professionista si è fatto un mazzo tale e ha acquisito una competenza così ampia, che nessun dilettante potrà competere davvero con lui, quando si parla di lavori seri. Il mondo fotografico invece si è rilassato per decenni dietro gli strumenti: il banco ottico ce l’aveva solo il professionista, e così la mezzo formato. Molti hanno ritenuto che il possedere uno di questi strumenti, e il saper esporre e inquadrare correttamente, facesse di lui un fotografo. Il fotografo invece doveva e dovrebbe essere, prima che un tecnico, un esperto di Comunicazione. Occhio: non un “creativo” passionale, come malauguratamente noi spesso ci dipingiamo per sentirci artisti. Esperto di Comunicazione: cioè uno che quando sviluppa una produzione non inventa nulla, ma realizza con coerenza e in modo pertinente un progetto di Comunicazione, come lo sono un romanzo o un’opera musicale. Come uno chef è inattaccabile nella sua professionalità perché, non solo sa cucinare bene, ma sa usare le sue materie prime e le sue padelle con consapevolezza e coerenza, per creare una Comunicazione di gusto, di olfatto, di consistenze. 

Insomma: se il senso di esistenza del professionista fotografo è quello di saper usare lo strumento fotocamera, questo mestiere è già finito. Se invece saremo capaci di crescere come “narratori che usano la fotocamera per comunicare”, con competenza e capacità alte, allora, forse, uno spazio ci sarà ancora per questa professione. 

Il mondo fotografico, duole dirlo, è stato troppo spesso costituito da cialtroni che si sono auto-dichiarati professionisti per aver comperato un’Hasselblad o una Sinar, senza preoccuparsi di quale Comunicazione producessero usando quegli strumenti. Ora che l’Hasselblad e la Sinar non sono più indispensabili per fare ottime fotografie, il castello costruito sulla sabbia crolla trascinandosi dietro il settore intero, tutti compresi, e sembra troppo tardi per piangere.








11 commenti:

  1. Concordo al 100% quanto hai scritto e descritto :-) saluti

    Giancarlo Amici

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  2. Ecco il motivo per il quale la stimo e vorrei apprendere da lei.
    Concordo in toto.

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  3. Non sono ne tantomeno mi ritengo un Photographer ma faccio fotografia da quasi 30anni. Certo che avere la superultrafotocamera e i mega obiettivi aiuterebbe... ma le fotografie, prima che coi mezzi, si scattano con la testa e gli occhi... non di meno, col CUORE. ..

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  4. L'ovvio che in pochi vogliono accettare... condivido tutto!

    Buona domenica

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  5. Tutto vero, certo è più facile accettare la situazione se si ha già un nome e uno spazio guadagnato (meritatamente, sia chiaro) quando ancora ce n'era di spazio. Chi è fuori si rammarica del fatto che sia diventato difficile vivere di fotografia quasi come vivere di musica e scrittura, anche a causa di un mercato inquinato da una massa di immagini dalla quale è difficile emergere e distinguersi e da un "pubblico" che, come hai detto anche tu, non è allenato a dare il giusto valore alle cose. Gli Avedon sono uno su un milione, i Cerati uno su mille ;D e gli altri? tutti al call center?

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  6. Proporrei una legge: Puoi fotografare con una digitale se dimostri di saper usare dignitosamente un banco ottico a lastre... scherzo, ma sai che crisi di vendita :-)

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  7. Davide è sempre un piacere leggerti...

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  8. Giusto e corretto..ma l'interlocutore come lo educo?
    Il problema è che in alcuni settore l'interlocutore o il soggetto pagante, in quanto tale, corre al risparmio e siccome lo trova, bypassa la qualità che ,sempre in alcuni settori, non è necessaria.
    Ne deriva che la fotografia vive ancora,ma vive per chi lavora nella nicchia o in un settore dove la qualità è necessaria .
    Non fraintendetemi,la qualità è sempre necessaria, ma come ,giustamente ,dice il sig Cerati nel suo post, per troppi anni il fotografo ha venduto fumo e ora si ritrova nel pieno di una rivolta.
    Il digitale di facile accesso e il web con la rapida (anche se sregolata e a volte non corretta) informazione ha aperto le porte a tutti ,a tutti quelli che non cercano la qualità, come operatori, ma un facile raggiungimento di risultati mediocri che alla fine sono diventati lo standard.
    Ci ritroviamo, quindi, con un appiattimento della cultura fotografica, che si va ad aggiungere agli attuali problemi economici, che porta ad un abbassamento della richiesta per quantità e qualità.
    Non sò indicare la soluzione a questo problema, ma credo che il tempo ci darà una risposta .

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  9. l'intervento più realistico appare il penultimo di alessandro;
    il post iniziale sebbene parta da argomentazioni anche giuste e mi pare non scontate, non esamina da dentro i problemi e le dinamiche proprie di questo lavoro.
    Un ossimoro direte voi....forse si, ma e' fuori di dubbio che anche ad uccidersi di ricerca personale e di analisi del proprio lavoro, se non si ha una grande clientela dagli anni 80-90, o si ha uno studio in centro nelle grandi città, nessuno sarà mai interessato alla qualità. Tutti vogliono spendere poco, o non spendere. Tanto c'e' sempre un appassionato pronto a fare delle fotografie a meno. A meno di tutto intendo...a meno prezzo, a meno bellezza, a meno esperienza, a meno! Solo che a chi interessa? dato che il 99% di cio' che si vuole comunicare o è falso o durerà cosi' per sole 48 ore , per poi essere scalzato da una nuova falsa verità? Non c'e' spazio per essere qualitativamente accettati e accettabili. ....la chiamano tecnologia.

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