Questo post è rivolto soprattutto ai colleghi fotografi professionisti, ma io credo che possa interessare, per quanto riguarda l'aspetto culturale che sta dietro al fenomeno, anche a un pubblico più allargato.
Sono stato recentemente in Normandia a tenere un corso di due giorni sul Ritratto per il GNPP ( Groupement National de la Photographie Professionelle ), l'associazione dei fotografi professionisti francesi. Sono arrivato la mattina del sabato, presto, al piccolo aeroporto di Caen. Ho passato la giornata nel retrobottega dello studio di un fotografo ritrattista della zona, in attesa di essere portato nella location del seminario. Al di là del fatto che a stare dietro le quinte c'è sempre da imparare, ne sono uscito sorpreso e un po' stordito.
Il telefono squilla in continuazione, e ogni cinque minuti si apre la porta dell'atelier e entra un cliente. In quanti studi fotografici italiani specializzati nella fotografia di ritratto succede la stessa cosa? Di più: quanti studi fotografici italiani possono sopravvivere di sola fotografia ritrattistica? L'amico francese fa soltanto ritratti: a bambini, donne incinte, ragazzi, adulti, anziani. Stampa su carte fine art, monta su materiali pregiati, incornicia in formati anche molto grandi, impagina in book curatissimi; mostra le stampe ai clienti in guanti bianchi di cotone; consegna in cartelline e scatole rigorosamente Acid Free. I clienti vanno da lui per farsi un piccolo ritratto e ne escono immancabilmente con tutto il servizio, pagando cifre notevoli. Ha clienti fissi che si fanno ritrarre in ogni occasione: la foto di famiglia ogni tanto, ma poi anche la gravidanza, il figlio neonato, il primo dentino, la prima camminata, il primo compleanno, il primo giorno di asilo, il primo giorno di scuola elementare; e poi il primo giorno delle scuole medie, i diciott'anni, la laurea, ecc.. Il loro figlio ritorna dal fotografo a farsi il book insieme alla prima fidanzata e poi con la seconda e poi con la terza… i genitori regalano il book da aspirante modella alla figlia; regalano il servizio fotografico ai nonni per Natale; insomma, ogni occasione è buona per farsi un ritratto da un fotografo capace. E sto parlando di uno studio della provincia francese, non di Parigi o Lione.
Forse dobbiamo fare qualcosa per promuovere il ritratto in Italia. La Cultura del Ritratto.
Perché da noi non c'è questa cultura.
Forse non c'è mai stata o, più probabilmente, quando era il momento di promuoverla abbiamo fatto, come categoria, tutto il possibile per affossarla. Tutti noi abbiamo nei cassetti almeno una fotografia dei nostri nonni. Una volta nella vita forse, ma 100 anni fa la gente si faceva ritrarre dal fotografo; quasi nessuno possedeva una fotocamera, e quindi era inevitabile rivolgersi a un professionista per immortalare la propria immagine. Poi, è vero, è arrivata la fotografia per tutti, la Kodak Instamatic, la Polaroid, le compatte automatiche; la possibilità, insomma, di ritrarsi da soli.
Ma, mentre proprio in quel momento era necessario valorizzare il nostro lavoro, offrendo al cliente un prodotto di qualità che lui da solo non sarebbe mai stato in grado di realizzare, noi fotografi abbiamo abituato la gente a credere che farsi un ritratto dal fotografo significa entrare in un negozio dieci minuti, posare più o meno impacciati davanti a due torce con l'ombrellino, lasciare 30 euro e ritirare una foto stampata in automatico su cartaccia nel minilab e consegnata nella busta del prosciutto con stampato sopra il prezzo. Chiaro che sto parlando di una certa categoria di fotografi, dalla quale spesso i professionisti che si sentono più "fighi" e professionalmente elevati, tendono a distinguersi con un certo snobismo; ma la cultura ( o sottocultura ) del ritratto, riguarda tutti, fighi e meno fighi.
Perché è fuori di dubbio che da noi il ritratto è quella roba lì, e con quel tipo di aspettativa si deve scontrare chiunque, anche chi lavora a alti livelli; nella testa della gente non ci sono, mediamente, aspettative più alte, purtroppo. Poi qualcuno ha la fortuna di avere di se degli ottimi ritratti, perché la sua professione lo porta magari sul set di un grande fotografo di moda; oppure perché la propria azienda chiama un buon ritrattista per creare l'immagine aziendale. Qualcuno, ancora, apprezza queste cose, e spende anche cifre notevoli per avere un ritratto di alta qualità, ma si tratta comunque di una piccolissima minoranza. Il ritratto di alta qualità si realizza soltanto per piccole nicchie legate all'editoria, all'imprenditoria, ecc. Non esiste un'abitudine diffusa. Il fotografo ritrattista, in altre epoche e in altri paesi, ha una dignità alta anche se non vive di pubblicità, moda, editoria. Da noi no; peccato. Forse dobbiamo fare qualcosa per creare aspettative maggiori; forse, soprattutto, dobbiamo imparare a valorizzare di più quello che facciamo, perseguendo la qualità, l'eccellenza, il rigore, indipendentemente dal settore di mercato al quale ci rivolgiamo. In un'epoca di diffusione enorme della fotografia ( abbiamo ormai tutti in tasca una fotocamera, seppure nell'iphone, o nella compatta che portiamo al mare ), io credo che "la gente" sappia però distinguere tra una immagine presa, più o meno casualmente, durante la gita domenicale e l'immagine di un buon professionista inquadrata bene, illuminata con perizia, interpretata con capacità, stampata per bene su carta buona. Le foto della domenica finiscono spesso su un hard disk che prima o poi si quaglia, buttando al vento migliaia di fotografie e anni di memoria personale. Forse è il momento di promuovere il valore di un ritratto vero, che resta, che documenta la propria vita. Siamo in tempo di crisi, è vero, ma se ancora molti spendono delle cifre per le vacanze, per un telefono, per una tv lcd, che dopo qualche anno sono da buttare, perché non dovrebbe spendere qualcosa anche per un buon ritratto davvero professionale che diventi patrimonio della propria vita e della propria famiglia? Forse questa spesa non viene apprezzata perché noi professionisti non siamo capaci di cogliere noi stessi questo valore e trattarlo di conseguenza. Forse, e qui parlo ai colleghi che hanno negozio, vendita al pubblico, vetrina, bisogna che si ritorni a fare i fotografi invece che i commercianti; che si ridia dignità alla Fotografia mettendo in vetrina, invece che tazze e cuscini con su stampate le foto del pargolo, piuttosto che cornici e bomboniere, al posto di compattine e album colorati, mettendo in vetrina, dicevo, i propri lavori migliori.
Naturalmente dobbiamo anche saper fare bei ritratti, ma questo dovrebbe essere scontato per dei professionisti. Perché la Cultura del Ritratto l'hanno costruita i grandi della fotografia, ma anche tanti piccoli professionisti di provincia che, nel passato, con perizia, dedizione e fatica, ci hanno tramandato pezzi di storia e di cultura, attraverso i volti.
Ph.: August Sander
Ph. Richard Avedon
Ph.: Anonimo
Non sono un professionista, ma in questo tuo post ho ritrovato moltissimi spunti sui quali ho spesso meditato. Purtroppo le tue riflessioni in Italia si possono estendere anche alla fotografia di paesaggio e probabilmente anche verso altri settori. Ho un caro amico che ha un atelier fotografico in un bellissimo borgo in Toscana e che vive delle sue (bellissime) foto stampate in fine art. Anche in quel caso la stragrande maggioranza dei suoi clienti è straniera (americani, inglesi, francesi...) che sanno apprezzare il "valore" di una foto e pagano il giusto per portarsi a casa un pezzo di Italia racchiuso in una piccola opera d'arte. Tuttavia la crisi si fa sempre più sentire e con il ridotto afflussi di turisti stranieri anche le sue entrate vanno sempre più riducendosi. Senza "matrimoni", probabilmente dovrebbe chiudere.
RispondiEliminaQui da noi si vive in "superfice", si vive di fretta, sperando di vincere il superenalotto o di sposare un calciatore... Difficile appassionarsi della cultura del "bello".
Forse anche grazie a gente come te, qualcosa di può cominciare a smuovere...
Scusa per lo sfogo.